Alberto Sogliani racconta la sua avventura inglese a Birmingham per la partita Aston Villa - Leicester.
Ogni tanto, se possibile, vale la pena uscire dal guscio del calcio di casa propria e vedere cosa succede negli altri Paesi.
Facile parlare della Premier League, che da tempo è diventato il campionato più ricco, più bello e qualitativamente di livello più alto al mondo. Di sicuro in passato gli inglesi non sono stati un modello da imitare, con le tragedie dentro e fuori gli stadi causate dagli Hooligans.
Oggi, almeno per il momento, la situazione è nettamente migliorata ed andare a vedere la partita è un evento anche per le famiglie. Uno spettacolo insomma, al di là dei risultati che possono andare a favore o contro la squadra del cuore.
Mi volevo principalmente soffermare sulla cultura sportiva che ruota attorno al calcio, molto diversa rispetto a noi. Che dobbiamo crescere e maturare proprio sotto questo profilo. Sarà pur vero che il nostro spirito latino e mediterraneo ci porta ad essere focosi, ma nemmeno i popoli di origine celtica sono sempre freddi e razionali. Dunque a mio avviso bisognerebbe fare uno sforzo per trasmettere un concetto di sport che significa tifo e passione per il proprio club, non incentrato sugli insulti ed offese contro l’altro.
Un venerdì pomeriggio qualunque partiamo con un volo direzione Birmingham, dove il giorno dopo gioca l’Aston Villa contro il Leicester. Nella città delle West Midlands abbiamo contatti ed amici che vivono lì e naturalmente tutto diventa più facile. Soprattutto per l’acquisto dei biglietti che già è problematico per le gare interne, quasi impossibile per le trasferte. Perché ogni società mette a disposizione non più di 3/4mila biglietti per i quali hanno la prelazione gli abbonati. E quasi sempre vanno presto esauriti.
Al sabato va in scena l’evento, per la precisione alle 15 locali, stadio Villa Park. Come di consueto però la partita inizia prima, al Barton Arms pub, dove ci diamo appuntamento attorno a mezzogiorno. Dall’Italia siamo in 8, complessivamente siamo in 25 circa e ci mettiamo a tavola. Va comunque detto che i nostri amici hanno organizzato per noi, conoscendo le nostre tradizioni, di mangiare qualcosa. Fosse per loro sarebbe sufficiente fare dei giri di birra, magari in piedi, aspettando il momento di avviarsi verso lo stadio. Quante? Domanda difficile: potrei dire di avere visto 70enni bere almeno 5-6 pinte senza fare una piega, per quanto concerne i più giovani si perde il conto. Non tutti sono così, però la maggioranza sì.
Nel pub si gigioneggia e si arriva al Villa Park quasi al fischio d’inizio. Nessun problema però, perché i controlli sono tanto rapidi quanto efficaci.
Due parole sullo stadio: è lì da oltre 100 anni, naturalmente ristrutturato in varie epoche. E’ la vera e propria casa dei tifosi, che dentro si sentono più forti cercando di trasmettere questa sensazione alla squadra. Davanti alla Holte End, la curva dei supporters locali, è stato ricostruito il lampione dove i quattro soci fondatori dell’Aston Villa, nel lontano 1874, decisero di creare il club storicamente più importante di Birmingham. Davanti ad altri ingressi, le statue di presidenti importanti. Da noi ce la caviamo molto spesso con una targa anonima o qualcosa di simile, che magari si perde nel tempo. Ecco un primo esempio di cultura sportiva.
Al kick-off l’entusiasmo è ribollente. Lo stadio tiene 42000 persone, è tutto esaurito: ai 30.000 abbonati ci si ferma, dunque 12mila tagliandi sono sempre disponibili per ogni partita. Tantissimi bambini, anche sotto i 10 anni, accompagnati spesso dal papà o anche dalla mamma, rigorosamente con la maglia del Villa. Che si divertono, sanno tutto della squadra e dei giocatori, vivono la gara con passione fin dalla tenera età. In uno spicchio di tribuna i 4000 tifosi del Leicester, che vogliono farsi sentire incitando i loro beniamini a squarciagola.
L’Aston Villa segna presto l’1-0 ed il Villa Park si accende. Partono solo degli sfottò, non altro, verso l’opposta fazione. Che replica subito con lo stesso coro quando il Leicester segna l’1-1.
Il primo tempo è una girandola di emozioni: 2-1 Villa, poi 2-2 e proprio all’ultimo minuto di recupero 2-3 per gli ospiti. C’è amarezza tra gli sportivi locali, noi compresi, ma non più di tanto: fa parte del gioco.
Dunque file chilometriche al bar per andare a bere l’ennesima birra o per andare in bagno. Ma tutto funziona alla perfezione ed un quarto d’ora dopo le sedie sono di nuovo occupate per il secondo tempo. Quando entrano i giocatori del Villa, un applauso scrosciante parte da ogni settore dello stadio. Ci sono 45 minuti e più per ribaltare il risultato, questo è il concetto. Penso subito che in Italia, se una squadra di casa fosse andata al riposo sul 2-3, al rientro in campo il clima sugli spalti non sarebbe stato esattamente quello.
La rimonta non riesce, anzi, alla fine il Leicester vince 4-2. L’ultimo gol viene incassato a 5 minuti dalla fine: lo stadio lentamente si svuota, non ci sono contestazioni alla squadra, all’allenatore o alla dirigenza. Nemmeno ai tifosi avversari, che gongolano e festeggiano liberamente insieme al Leicester schierato a metà campo ad applaudirli. Così si sfila via, ma la giornata è tutt’altro che finita. Pochi vanno subito a casa arrabbiati per il triste pomeriggio. Ci sorbiamo un paio di chilometri a piedi con obiettivo Villa Tavern, uno storico pub nemmeno troppo ristrutturato, dove ricominciano i giri di birre.
Nei discorsi c’è anche il tema della sconfitta ma più spesso si parla d’altro. Donne, viaggi, musica, magari della prossima trasferta da organizzare e pensare al pronto riscatto. Insomma, il ko è già stato digerito: perdere fa parte del gioco, come del resto vincere o pareggiare. Altro punto fermo della cultura sportiva.
Restiamo lì almeno un’ora e mezza. Beviamo una pinta, al massimo due: noi italiani, perché gli inglesi vanno avanti e le assorbono senza segni evidenti di squilibrio o altro. Finita? Tutt’altro. Ormai sono le 19 circa e pensiamo che si possa pensare a mangiare qualcosa per la sera. La pancia è gonfia ma fondamentalmente vuota. Infatti si parte verso quello che pensiamo sia un ristorante. Che in realtà altro non è che l’ennesimo pub. Dove noi faticosamente troviamo un posto a sedere e, alla fine, mettiamo del cibo sotto i denti.
I nostri amici, di certo non più ragazzi, restano in piedi per dovere di ospitalità ma anche perché in fondo di mangiare a loro interessa poco. Magari lo faranno dopo, a casa forse. Lì al pub si continua a bere, per concludere degnamente il sabato calcistico. Molti di noi, in ballo dal mattino, rientrano all’albergo presto segnati da una giornata non facile. Anche se comunque bella e piacevole. Loro per un po’ restano ancora lì. Poi dichiarato concluso il pomeriggio sportivo, si può dare il via al sabato sera. Con la moglie, la fidanzata, la famiglia, gli amici.
L’Aston Villa ha perso, viva il Villa.
Anzi, UP THE VILLA!
a cura di Alberto Sogliani
Alberto Sogliani è nato e vive a Mantova, dove svolge le professioni di insegnante e giornalista sportivo. Attualmente è collaboratore del quotidiano “La Gazzetta di Mantova”, in precedenza per “La Voce di Mantova”, “Corriere dello Sport-Stadio” e “La Gazzetta dello Sport”. Ha inoltre partecipato a molte esperienze giornalistiche della sua città: in particolare è stato redattore per il periodico “Noi”, con articoli di sport e di costume, e collaboratore per Mantova Tv, dove ha curato per qualche tempo il telegiornale sportivo. Spesso è invitato ancora come opinionista in trasmissioni radiofoniche e televisive, oltre che come moderatore in convegni a carattere sportivo. Nel novembre del 2018 ha ricevuto il premio “Cristian Ghirardi-Un calcio per i giovani”, alla memoria, dedicato a chi promuove lo sport ed i suoi valori.Gli ultimi articoli di CambioSquadra
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