La nostra rassegna di storie sportive firmate da Alberto Sogliani.
Non sono mai stato un semplice giornalista. Anzi, non so dire se sono stato più tifoso o più giornalista.
Di certo ho iniziato come semplice appassionato, essendo nato troppo vicino allo stadio, di domenica, guarda caso nel periodo in cui il Mantova si stava guadagnando la prima serie A della sua storia. E’ stato automatico che mio padre, mentre io ero bambino, mi accompagnasse a vedere le partite della squadra biancorossa e che io mi appassionassi alle imprese, positive e/o negative, di quei colori.
Io per quei colori ho pianto e non me ne vergogno: da bimbo, mi ricordo, sugli spalti della Curva Cisa, dopo una sconfitta non particolarmente drammatica ma che mi ferì nel mio orgoglio mantovano. Da più grande, e non me ne vergogno, quando retrocedemmo per la prima volta della nostra storia in C2 perdendo in casa l’ultima giornata contro la Triestina. Nel 1993-94, quando vissi l’anno più intenso calcistico dal punto di vista professionale, umano e passionale, non piansi né quando all’ultima giornata non bastò il successo sulla Triestina per guadagnare la B inseguita da troppi anni. Neppure quando 15 giorni dopo perdemmo in casa nei playoff di ritorno contro il Como.
Non piansi solo perché avevo versato troppe lacrime prima per altre situazioni, probabilmente, ancora più importanti dal punto di vista personale. Eppure quel 1993-94 me lo ricordo tutto, partita per partita, giornata per giornata. Una squadra stupenda, con uomini veri, non solo calciatori, con molti dei quali sono rimasto in rapporto di amicizia: il Bosco (Boschin), Farneti, Pasa, Pacione, Perini e tanti altri ancora. Senza dimenticare che in panchina c’era il MIO mister, ovvero Ugo Tomeazzi: io facevo il giornalista ma non potevo non essere di parte.
Come quella volta che andai sul Te ad intervistare il mister a pochi giorni dalla partita contro il Chievo, che poteva decidere la stagione: lui mi disse: “ma cosa fai qui, le notizie te le do dopo…vai a Valeggio dove c’è il Chievo che fa l’amichevole con la squadra locale…”. Partii immediatamente, mi intrufolai a pochi passi dalle panchine di Malesani e dell’allenatore del Valeggio: al ritorno non diedi delle grandi notizie al Tom, solo un’idea di formazione, però mi piace pensare che in quel fantastico 2-0, dove i veronesi non videro mai la palla dopo il colpo di testa di Cossato parato da Roma nei primi minuti, ci sia stato anche un piccolo zampino mio… Quell’anno lo vivemmo in trincea.
Eravamo in cinque amici che ci sentivamo tutti i giorni per parlare della partita appena giocata e per preparare quella della domenica successiva. Come e più di normali dirigenti. “Io farei giocare la squadra con quel modulo”…”io no, ci metterei il trequartista…”…guarda che loro a destra spingono parecchio, dovremmo chiudere la fascia…” e via dicendo. Minuti e minuti di telefonate, più che alle morose di turno. Pazzi? Forse, di certo profondamente innamorati di quei colori. Per non parlare della scaramanzia; tutti i giovedì sera, i soliti cinque, quell’anno, ci si trovava per andare a cena, cambiando rigorosamente ristorante, o al massimo tornando una volta sola in quello che aveva portato particolarmente bene. Finendo sempre in un locale dove un nostro amico, tifoso come noi, preparava una torta con la “B” disegnata sopra con lo zucchero. Della quale occorreva mangiarne rigorosamente solo una fetta. Ogni partita io sotto la camicia avevo la maglia degli ultras, sempre quella. E sembrava portasse bene.
Provai a ribellarmi solo, professionalmente, quando il mio caposervizio mi obbligò a scrivere due pagine preconfezionate da aggiungere al giornale in caso di promozione in B. “Porta sfiga capo”… – dicevo. “Ma non preoccuparti – mi diceva lui – sono troppi anni che il Mantova non va in B. Vedrai, per la legge dei grandi numeri…”.
Quel pomeriggio di giugno 1994, piovoso e umido quasi come d’autunno, non piansi ma mi ritrovai a battibeccare con Tardelli (sì, proprio l’ex campione del mondo) accusandolo di avere troppo esultato sul nostro “Martelli” dopo averci eliminato giocato 90’ in difesa senza prendere gol. Quel pomeriggio non piansi ma prima di tornare in redazione entrai da solo sul prato del Martelli e mi misi a fissare la sagoma di fango del pallone calciato da Perini stampata sul palo per quello che avrebbe potuto essere il gol della finalissima (per la B).
Quel pomeriggio non piansi, ma in redazione aprii il cassetto, guardai le due pagine di uno speciale che non sarebbe mai stato pubblicato: “Ecco uno per uno i protagonisti di questa esaltante cavalcata”, titolava. Presi i fogli, li accartocciai, li gettai nel gabinetto e tirai lo sciacquone, così non li avrei più visti. Solo allora mi misi a lavorare per una domenica normale, come tante altre. Parlando e scrivendo del Mantova con un groppo in gola.
a cura di Alberto Sogliani
Alberto Sogliani è nato e vive a Mantova, dove svolge le professioni di insegnante e giornalista sportivo. Attualmente è collaboratore del quotidiano “La Gazzetta di Mantova”, in precedenza per “La Voce di Mantova”, “Corriere dello Sport-Stadio” e “La Gazzetta dello Sport”. Ha inoltre partecipato a molte esperienze giornalistiche della sua città: in particolare è stato redattore per il periodico “Noi”, con articoli di sport e di costume, e collaboratore per Mantova Tv, dove ha curato per qualche tempo il telegiornale sportivo. Spesso è invitato ancora come opinionista in trasmissioni radiofoniche e televisive, oltre che come moderatore in convegni a carattere sportivo. Nel novembre del 2018 ha ricevuto il premio “Cristian Ghirardi-Un calcio per i giovani”, alla memoria, dedicato a chi promuove lo sport ed i suoi valori.Gli ultimi articoli di CambioSquadra
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