Cosa cambia al contratto sportivo? La Riforma dello Sport, prevista per il Gennaio 2024, introduce la nuova e rivoluzionaria figura del "lavoratore sportivo", che si va ad inserire quale più importante novità di tutto il nuovo impianto legislativo portato dai Decreti del febbraio 2021.
Ma quali sono i tratti salienti della normativa di riferimento? Quali potrebbero essere le reali implicazioni sul mondo del calcio dilettantistico? Riuscirà l'ideale della riforma a soddisfare sia i lavoratori dello sport che le società sportive?
Scopriamolo insieme grazie alle Guide di Cambiosquadra.it ed al seguente prezioso contributo, redatto a cura dell'Avv. Nicola Sogliani, esperto di Diritto del Lavoro e amante del calcio.
Altra rilevante novità introdotta dal D.lgs. 36/2021 è quella relativa alla figura del direttore di gara, la cui figura viene inserita a tutti gli effetti in quelle tipizzate per individuare il lavoratore sportivo.
La Legge delega 8 agosto 2019, n. 86 da cui deriva il citato Decreto 36 prevedeva espressamente che, in sede di riordino e riforma delle disposizioni in materia di rapporto di lavoro sportivo, si procedesse alla «individuazione […] della figura del lavoratore sportivo, ivi compresa la figura del direttore di gara, senza alcuna distinzione di genere, indipendentemente dalla natura dilettantistica o professionistica dell'attività sportiva svolta, e [ndr. alla] definizione della relativa disciplina in materia assicurativa, previdenziale e fiscale e delle regole di gestione del relativo fondo di previdenza»
Nella stesura definitiva del Decreto, all’art. 28, si dispone altresì: “il contratto individuale col direttore di gara e' stipulato dalla Federazione Sportiva Nazionale o dalla Disciplina Sportiva Associata o dall'Ente di Promozione Sportiva competente”.
Si tratta di un cambiamento epocale rispetto all’attuale inquadramento della classe arbitrale e dei direttori di gara.
Ritengo utile soffermarci brevemente solo su una delle figure più controverse e discusse nella società italiana: l’arbitro di calcio.
Attualmente nel contratto sportivo l’arbitraggio viene svolto grazie prestazioni rese da parte degli associati all’AIA (Associazione Italiana Arbitri), ovvero dei direttori di gara che assicurano il regolare svolgimento delle partite di calcio in tutti i campionati della Federazione Italiana Giuoco Calcio, dagli esordienti provinciali alla Serie A (e, includendo, anche il Beach Soccer e il Calcio a 5).
Nonostante si tratti di una attività costantemente discussa, dalle sedi più informali a quelle istituzionali quella resa dai direttori di gara associati all’AIA è stata solo in rare occasioni ed episodicamente affrontata in termini giuslavoristici.
Quando ciò è avvenuto, in sede giurisprudenziale o di prassi amministrativa, le questioni hanno riguardato la riconducibilità della prestazione svolta dagli arbitri ad attività di lavoro subordinato e il corretto inquadramento delle corresponsioni da costoro ricevute in termini di obblighi e adempimenti fiscali e contributivi.
Tra le pochissime pronunce giurisprudenziali, si segnala in particolare la sentenza della Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, 12 maggio 2009, n. 10867, nell’ambito della quale è stata esclusa la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra l’arbitro e la Federazione Italiana Giuoco Calcio.
L’art. 1 del Regolamento Associazione Italiana Arbitri prevede espressamente che l’AIA riunisce, nel contesto della FIGC, «gli arbitri italiani che, senza alcun vincolo di subordinazione, prestano la loro attività di ufficiali di gara nelle competizioni della FIGC e degli organismi internazionali cui aderisce la Federazione stessa».
Si tratta, d’altronde, di una previsione che si pone in linea con lo Statuto del C.O.N.I. che all’art. 33, comma 1, prevede che «gli ufficiali di gara partecipano, nella qualifica loro attribuita dalla competente Federazione sportiva nazionale […] e senza vincolo di subordinazione, allo svolgimento delle manifestazioni sportive per assicurarne la regolarità» .
A questa statuizione si aggiunge la “significativa” assenza dei direttori di gara all’interno della elencazione relativa all’ambito applicativo della l. n. 91/1981.
Il fatto che la prestazione si ponga al di fuori dell’ambito applicativo del diritto del lavoro e sia ricondotta al vincolo associativo incide, ovviamente, su molteplici profili che, a seconda della posizione ricoperta all’interno della carriera arbitrale comportano conseguenze di tipo diverso.
Un primo aspetto riguarda le coperture per gli eventuali infortuni occorsi durante o a margine – si pensi, in particolare, all’incidenza degli infortuni in itinere nell’ambito di una prestazione che presuppone per il suo adempimento rilevanti spostamenti – che, stante l’inapplicabilità della assicurazione obbligatoria di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124 (c.d. assicurazione INAIL) e di altre coperture previste dalla legge vengono gestite tramite schemi assicurativi privati.
Ai profili assicurativi si aggiungono quelli contributivi, dal momento che, anche laddove l’attività di arbitro dia luogo – è il caso dei direttori di gara di Serie A e B – a cospicui redditi, ciò non comporta un corrispondente versamento previdenziale, pur a fronte di un regime di svolgimento della prestazione che proprio in tali circostanze risulta sostanzialmente (o, almeno, fortemente) preclusivo della sussistenza di attività lavorative ulteriori, con la conseguenza che, nel limitato periodo in cui si troverà all’apice della sua carriera (la carriera arbitrale termina al raggiungimento del 45° anno di età, salvo per attività arbitrale VAR e inizia, ai massimi livelli, abbondantemente oltre i trent’anni), il direttore di gara andrà a creare importanti scoperture contributive.
In questo contesto di riferimento si possono non soltanto comprendere le motivazioni che hanno spinto l’AIA a richiedere uno specifico intervento e il legislatore a prefigurarlo per il tramite della legge delega, ma anche potenzialità e probabili difficoltà dell’esercizio della delega secondo i principi e i criteri direttivi contenuti nella l. n. 86/2019.
In primo luogo, l’art. 5, comma 1, indica come via per la regolamentazione del lavoro del direttore di gara, quella del rapporto di lavoro sportivo riconducendo tale figura nella più ampia nozione di lavoratore sportivo. Si tratta di una scelta di campo volta a riconoscere nelle specificità dell’attività dell’arbitro, la necessità di prevedere una normativa lavoristica speciale, da conformare a quella dello sportivo.
A questo si aggiunge la specifica previsione, nel contesto del processo di riforma del lavoro sportivo, della definizione della disciplina assicurativa, previdenziale e fiscale, oltre che dei fondi di previdenza applicabile al lavoratore sportivo, ivi incluso il direttore di gara. Come è emerso dalla precedente analisi, questi sono aspetti certamente centrali rispetto all’attuale posizione degli arbitri di calcio, che al pari di quanto avviene per gli altri lavoratori sportivi, dovrebbero essere oggetto di attenzione nella delega tanto con riferimento all’attività di natura dilettantistica quanto con riguardo a quella di natura professionistica, ad oggi – come si è visto – non definita nel contesto della carriera arbitrale, pur a fronte di una notevole differenza in termini di impegno e di vita “professionale” e associativa tra i direttori di gara dei campionati dilettantistici e quelli che operano nelle serie professionistiche.
L’art.9, comma 1, della l.n. 91/1981 ha successivamente esteso l’assicurazione generale per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti a tutti gli altri sportivi professionisti così come individuati dall’art. 2 della medesima norma.
Nell’ambito delle discipline sportive regolamentate dal CONI, le Federazioni con obbligo di iscrizione all’ente previdenziale (ex Enpals) sono le seguenti:
- Calcio: serie A,B,C maschile;
- Ciclismo: gare su strada e su pista approvate dalla Lega ciclismo;
- Golf;
- Motociclismo: velocità e motocross;
- Pallacanestro: serie A1 e A2 maschile;
- Pugilato: I,II e III serie nelle 15 categorie di peso.
Individuati i soggetti assicurati, quali sono i requisiti e le regole degli sportivi professionisti per l’accesso alla pensione?
Sui requisiti di accesso alla pensione (e criteri di calcolo) da parte degli sportivi professionisti, occorre distinguere i professionisti in questione in due gruppi:
Il primo gruppo (a) ha diritto alla pensione di vecchiaia anticipata all’età di 54 anni (52 per le donne) unitamente a 20 anni di assicurazione e contribuzione, purché il requisito contributivo sia stato perfezionato utilizzando solo la contribuzione accreditata preso il Fondo Pensione Sportivi Professionisti con la qualifica di professionista sportivo.
Il secondo gruppo (b) ha diritto alla pensione secondo quanto previsto dalla Legge Fornero e cioè o con 64 anni di età, unitamente a 20 anni di contribuzione e assicurazione e importo pensione non inferiore a 2,8 volte l’assegno sociale, o con 67 anni unitamente a 20 anni di contribuzione e l’assicurazione e importo pensione non inferiore a 1,5 volte l’assegno sociale, oppure con 71 anni unitamente a 5 anni di contribuzione e assicurazione o con 42 anni e 10 mesi di contribuzione e assicurazione a prescindere dall’età anagrafica (41 anni e 10 mesi le donne).
Occorre evidenziare, comunque, che i professionisti sportivi, possono applicare una riduzione di un anno ogni 4 anni di effettiva attività lavorativa svolta nella specifica qualifica entro un massimo di cinque anni.
Gli sportivi sono iscritti all'ex gestione ENPALS, soppresso nel 2011 e confluito nell'INPS con la denominazione di Fondo Pensione Sportivi Professionisti (FPSP) e Fondo Pensione Lavoratori dello Spettacolo (FPLS).
La tutela previdenziale per gli sportivi è stata riconosciuta per la prima volta con la legge 14 giugno 1973, n.366. Sono oggi considerati lavoratori sportivi "..gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici che esercitano l'attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell'ambito delle discipline regolamentate dal C.O.N.I e che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con l'osservanza delle direttive stabilite dal C.O.N.I. per la distinzione dell'attività dilettantistica da quella professionistica".
Il FPSP presenta alcune particolarità rispetto alle regole previste per il fondo pensioni lavoratori dipendenti in quanto:
Il FPSP e il FPLS sono gli unici fondi pensionistici gestiti dall'INPS destinati a lavoratori non atipici ad essere in attivo (l'altro fondo in attivo è quello per i lavoratori parasubordinati).
L'ultimo bilancio per l'anno 2011 dell'ex Enpals (che include sia il fondo sportivi che il fondo spettacolo) esponeva un avanzo finanziario pari a 261,5 milioni di euro a fronte di entrate accertate per 1,5 miliardi di euro e di uscite impegnate per prestazioni pensionistiche e spese di funzionamento pari a 1,24 miliardi di euro.
Tali avanzi strutturali si erano tradotti in un consistente attivo patrimoniale in relazioni alle dimensioni del fondo. A fine 2011, anno in cui il Fondo è confluito in INPS, il patrimonio dell'ex ENPALS ammontava a 3076 milioni di euro.
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